ostia antica

Due nuovi frammenti dei Fasti Ostienses sono stati ritrovati nel Parco archeologico di Ostia Antica.

I reperti – rinvenuti in seguito alle indagini effettuate nell’Area B del Parco archeologico, corrispondente al Foro di Porta Marina – emergono dalla seconda campagna di scavo del progetto Ops – Ostia Post Scriptum, curato dal Parco in collaborazione con l’Università di Catania e il Politecnico di Bari. I Fasti Ostienses sono una sorta di cronaca incisa su lastre di marmo: riportano notizie preziose sulla storia politica e monumentale di Roma e di Ostia a partire dal 49 a.C. fino al 175 e forse oltre. La loro redazione spettava al pontifex Volcani, massima autorità religiosa locale. “Si tratta di una scoperta straordinaria che, se da un lato accresce e integra quanto sappiamo sull’attività di quel grande imperatore che fu Adriano portando nuove acquisizioni sull’importantissima attività edilizia da lui condotta a Roma, dall’altro riconferma le immense potenzialità dell’antica Ostia per una sempre più approfondita conoscenza e divulgazione del nostro passato“, ha detto il direttore del Parco archeologico di Ostia antica, Alessandro D’Alessio.

Gli scavi hanno portato alla luce anche i resti di diverse decorazioni ed estese porzioni di pavimento a mosaico. Il Ministero della Cultura fa sapere che presto saranno visibili al pubblico, proprio come già realizzato in altri siti archeologici.

L’area dello scavo e i ritrovamenti dal 1940 ad oggi

Nella zona interessata dallo scavo, già negli anni 1940-41 e 1969-72, vennero alla luce altri brani dei Fasti Ostienses. Uno dei due frammenti recuperati, che si congiunge perfettamente con un altro già conservato a Ostia e riferibile alla cronaca degli anni 126-128 d.C., menziona fatti e avvenimenti accaduti a Roma nel 128, sotto il regno di Adriano.

Incrociando queste informazioni con quelle provenienti da altre fonti, si è potuto precisare il contenuto del testo da cui si evince che il primo gennaio del 128 Adriano assunse il titolo di pater patriae e la moglie Sabina quello di Augusta. Per celebrare questi titoli l’imperatore offrì al popolo un congiarium, cioè un’elargizione di denaro.

Successivamente, il 10 aprile del 128 (ante diem III Idus April riporta l’iscrizione) l’imperatore partì per l’Africa e, tornato a Roma tra la fine di luglio e gli inizi di agosto e prima di recarsi ad Atene, consacrò un edificio, sicuramente un tempio nell’Urbe. Due sono le possibilità: il Pantheon, oppure più probabilmente il Tempio di Venere e Roma. Secondo un’ipotesi molto suggestiva, la consacrazione potrebbe essere avvenuta l’11 agosto del 128 d.C., ovvero nel giorno della ricorrenza dell’ascesa al trono di Adriano nel 117.

Le indagini, concluse a fine luglio, sono state condotte anche nell’Area A, mai scavata prima, situata all’interno del Parco tra il Piazzale delle Corporazioni, la ricca Domus di Apuleio, l’area sacra dei Quattro Tempietti e l’antico corso del Tevere.

Qui sono venuti alla luce altri vani per un’estensione di circa 400 metri quadri e indagati a partire dai cospicui crolli dei piani superiori. Sono stati recuperati così, al loro interno, dei reperti ceramici, marmorei e l’originaria decorazione pittorica e in stucco oltre agli estesi resti di meravigliosi mosaici in tessere bianche e nere.

Lungo il lato Sud dell’edificio è emerso un portico a pilastri impreziosito da uno splendido pavimento mosaicato, ancora in ottimo stato di conservazione e dal disegno complesso ed elegante, nel quale si alternano forme quadrate e a croce riempite da motivi a treccia, losanghe e forme ottagonali a elementi floreali e vegetali. Più ad Est il mosaico cambia motivo decorativo. Qui sono evidenti forme esagonali in cui si alternano lastre marmoree bianche e porzioni in tessere di colore rosso.

Sul lato Ovest dell’area di scavo è stato rinvenuto uno stretto ambiente absidato nel quale si scendeva tramite quattro scalini fino a una quota più bassa rispetto a quella del restante complesso. Nella piccola abside, in alto, si conserva inoltre una nicchia inquadrata da due colonnine e rivestita da un intonaco su cui sono applicate conchiglie marine. Si trattava dunque di uno spazio seminascosto, “intimo”, dal carattere verosimilmente sacro, rituale.