roots

A Roma c’è un ambizioso progetto – Roots – che affonda le sue radici nei giovanissimi talenti di Chef Alessandro Gentile e della sua “famiglia”.

L’insegna è nata nel 2019, uno spazio dove quattro giovanissimi talenti hanno saputo portare, oltre alle loro innegabili capacità, anche il calore di casa. C’è Chef Alessandro Gentile, classe 1993, giovane e talentuoso, concreto perché “le cose fatte bene non hanno un gran bisogno di parole”.

Alessandro, dopo gli studi scolastici, ha frequentato dei corsi professionali per perfezionarsi; si è messo poi alla prova in diverse cucine tra cui quella de Il Pagliaccio, ristorante 2 stelle Michelin romano, guidato da Anthony Genovese, e presso cui ha svolto uno stage. Tutto questo prima di realizzare il suo vero sogno, aprire un ristorante tutto suo. Ad affiancare Alessandro ci sono Giulia e Cecilia Gentile, sue sorelle, che accolgono i clienti facendoli sentire a casa e a cui Cecilia dispensa consigli sui vini. Ma è in Martina, seguitissima sui social come Martina Eiko, che Alessandro ha trovato una compagna di vita e un incredibile talento (nella panificazione) con cui condividere il progetto di aprire un locale tutto suo. Nasce così Roots, su questi legami che strettamente si intrecciano e affondano le loro radici in un progetto autentico e familiare.

L’ambiente è minimalista e ricorda nettamente lo stile scandinavo, a partire dalla grande vetrata che lascia “aperta” la piccola sala interna. All’esterno un delizioso dehors tra gli alberi di Via Rodi e i profumi del vicino Mercato dei Fiori. Pochi coperti, circa 30 all’interno e 20 esterni “perché è fondamentale creare legami, rapporti sinceri con i clienti”.

La cucina è espressione della visione di Chef Alessandro: lavorazioni di proteine animali ma un ruolo da protagonista per il vegetale che, dalla casa di Tivoli, arriva fino a Prati. Alessandro, infatti, cura personalmente il suo orto da cui raccoglie i migliori prodotti stagionali da offrire ai suoi ospiti: biete, dragoncelli, finocchi, broccoli, cavoli rapa. Dai piatti trapelano sfumature orientali nelle tecniche, nordiche nella mise en place ma del territorio nella scelta della materia prima. Il suo è un approccio zero waste (gli sprechi alimentari vengono azzerati con la rielaborazione degli scarti) e che preserva la naturale purezza degli elementi che lavora, senza alterare l’ingrediente principale. È per questo che predilige la cottura alla brace perché, tra le tante, è la meno invasiva, la più sincera tecnica di cottura che si possa riservare ad un prodotto di alta qualità.

Funghi cardoncelli alla brace e cioccolato bianco; Cozze allo spiedo, cachi e pancetta tesa; Seppia, spuma di cavolfiore e limone bruciato; Tubetti (Pastificio Molini del Ponte), salsa di cavolo nero e spigola marinata; Tortellini di zucca arrosto e polvere di miso; Animella cotta alla brace, latte caramellato e topinambur e una dolce chiusura con latte e fieno (mucca di pannacotta, gelato al fieno e latte di capra) sono questi alcuni degli audaci accostamenti proposti su carta.

Ogni elemento del menu viene sapientemente lavorato e viene poi introdotto a tavola con il cestino del pane firmato da Martina che, nata come pizzaiola e con alle spalle alcune esperienze lavorative, era arrivata a Roma per apprendere tutti i segreti della panificazione perfetta, al fianco di Gabriele Bonci. Una passione e un talento che si tramuta in pani con farine Mariani e lievito madre a lunga lievitazione, focacce genovesi e grissini multicereali, creati dall’unione di grani diversi e semi (lino e girasole). Un indirizzo naturale, dove ogni elemento della cucina e il rapporto con il cliente, è diretto e sincero, senza intromissioni artificiali. Così è anche per le birre (artigianali e prodotte in Italia) e i vini, circa 30 etichette solo naturali e del territorio, che variano continuamente seguendo le proposte dalla cucina.