VILLA BLANC LUISS

OPEN HOUSE: non è solo una grande mostra diffusa dell’edilizia romana dall’antico all’oggi, è uno strumento per capire meglio Roma e le sue peculiarità.

Proliferano in televisione, seguitissimi, i programmi dedicati all’abitare. Lecito dunque attendersi un successo pari o superiore a quello delle passate edizioni, per questa Open House 2019 (l’ottava), due giorni – sabato 11 e domenica 12 maggio – in cui nelle case di Roma si entra fisicamente. Case storiche e attuali, in centro e in periferia, real estate e case popolari d’oggi e di ieri, edifici pubblici e privati. Gioielli scaturiti dalla mente di architetti di fama per committenti ricchi e colti, come pure il travaglio dei grandi edifici produttivi dismessi, rinati come città-albergo degli ultimi e nuovamente dismessi.

Insomma Open House squaderna Roma in tutta la sua prismatica, elusiva molteplicità e nel suo tortuoso divenire storico. Il tutto visto sulla scala dell’unità urbana minima – la casa – e in larga misura dall’interno, nella dimensione domestica (e infatti Rooms si chiama la parte più corposa del programma).  Circa duecento interni romani da visitare gratis e con guida, scoprendo l’altra faccia della luna: quella dietro le quinte, a volte coerente con la faccia visibile (i prospetti esterni), altre volte incoerente e perfino dissonante. Per scoprire, o riscoprire, che l’Urbe è la capitale europea del divenire, il posto in cui più che altrove nulla si elimina e tutto si ri-crea, la metropoli che si ridefinisce per accumulo e reimpiego assai più che per virtù di grandi piani unitari con le cesure che essi impongono (come invece fu tipico di Parigi) .

E forse proprio questo antico carattere (tuttora vivo e vegeto), fuso con la magnificenza delle sue vestigia, fa di Roma un unicum. Che sia Palazzo Salviati, la Casa dei Crescenzi o l’ex Pantanella, qui – come amano dire i romani – “non si butta niente” e nulla si presume definitivo. Open House dà conto di questo mainstream romano. Esempio, le visite a Portonaccio e Pietralata, dove baracche e palazzi di cui non si riesce neanche a chiarire la destinazione d’uso d’origine (opifici? appartamenti?) diventano atelier e centri culturali spontanei. Come pure dà conto delle eccezioni, degli stili talmente connotati da rendersi indisponibili alla trasformazione: esempi, il liberty sulla Nomentana da Porta Pia a piazza Sempione e certa modernità come quella del “radicalismo” anni ’70 alla Camilluccia.

Open House, insomma, non è solo una grande mostra diffusa dell’edilizia romana dall’antico all’oggi: è uno strumento per capire meglio Roma e le sue peculiarità. Inserita nel circuito di Open House International, vede tra gli enti organizzatori Roma Capitale (Assessorato Crescita Culturale).

Tutto sulla due giorni consultando il sito ufficiale .