statue

In epoca Pontificia, a partire dal XVI secolo, in un periodo in cui il dissenso non era particolarmente gradito, il popolo romano si affidò a sei statue parlanti, nel centro della capitale, per denunciare i soprusi e l’arroganza in particolare dei nobili e del clero. Al collo di queste sculture, o appoggiate a esse, iniziarono ad apparire cartelli con scritte satiriche, poesie e rime in romanesco, invettive e dialoghi ironici, tutti in forma anonima, che prendevano di mira importanti personaggi pubblici, Papa incluso, e denunciavano episodi di malgoverno e corruzione.

L’umorismo e il sarcasmo, tipici del popolo romano, trovarono una forma di espressione attraverso questi sei “eroi” dalla lingua lunga, dei portavoce del malcontento popolare, conosciuti come il Congresso degli Arguti.

La più celebre tra queste statue è sicuramente quella di Pasquino, una figura maschile probabilmente risalente al III secolo a.C. che presumibilmente ritrae Menelao che sorregge il corpo di Patroclo. Situata dal 1501 nei pressi di Piazza Navona (all’angolo tra via di San Pantaleo e via di Pasquino), da essa deriva il termine “pasquinate”, utilizzato per questi componimenti. Una delle più celebri fu indirizzata a Papa Urbano VIII Barberini che fece togliere a Bernini la copertura bronzea del Pantheon per la realizzazione del baldacchino nella Basilica di San Pietro e di 80 cannoni per Castel Sant’Angelo: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” (“Quello che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini”), la sprezzante sintesi attribuita a monsignor Carlo Castelli, ambasciatore del Duca di Mantova, che è diventata un detto ancora utilizzato. L’origine del nome Pasquino invece non è nota, secondo alcuni era un oste o un artigiano della zona, famoso per le sue rime, per altri invece si trattava di un docente di grammatica latina che, secondo i suoi studenti, somigliava molto alla statua. Sarebbero stati loro a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. In occasione della festa di San Marco (25 aprile), Pasquino veniva abbigliato come una divinità e su di esso venivano affissi epigrammi nel corso di certami accademici che si tenevano nella piazza.

All’interno dei Musei Capitolini, nel cortile di Palazzo Nuovo, si trova invece Marforio, imponente statua considerata la spalla di Pasquino poiché in alcune satire i due dialogavano ironicamente. Famoso è il botta e risposta in occasione delle razzie dei tesori a Roma perpetrate da Napoleone, all’inizio dell’Ottocento: “È vero che i Francesi sono tutti ladri?”, “Tutti no, ma Bona Parte”. Rinvenuta nel Cinquecento nel Foro di Augusto davanti al tempio di Marte Ultore da cui pare prenda il nome (Mar-Foro), la statua raffigura una divinità maschile distesa sul bordo di una vasca, con una lunga barba, un mantello e una conchiglia nella mano sinistra. La figura, databile al I secolo d.C. viene interpretata come la personificazione di Oceano o di un fiume, forse il Nera.

A un centinaio di metri da Marforio, scendendo dal Campidoglio, in un angolo di piazza Venezia incontriamo l’unica donna del Congresso degli Arguti: Madama Lucrezia, possente mezzo busto di epoca romana con il volto sfigurato, alto circa 3 metri. La statua, che rappresenta la dea egizia Iside o una sua sacerdotessa, nel nome probabilmente si riferisce a Lucrezia d’Alagno, la famosa amante del re di Napoli Alfonso V. Nel 1457 Lucrezia venne a Roma per richiedere al Papa la concessione del divorzio che però le fu rifiutato. Alla morte del re Alfonso V, il figlio Ferrante la cacciò da Napoli costringendola a vivere nella capitale nel palazzetto adiacente alla statua che, in occasione del primo maggio, alla festa del “Ballo dei Guitti”, veniva vestita e adornata come una vera dama.

Al lato della Chiesa di Sant’Andrea della Valle, troviamo invece l’Abate Luigi, così chiamato perché pare somigliasse al sagrestano della vicina chiesa del Sudario. La statua, di epoca tardo imperiale, raffigurante un uomo togato, forse un magistrato o un senatore romano, fu ritrovata alla fine del Cinquecento nelle fondamenta di palazzo Vidoni. È priva della testa a causa di atti di vandalismo, come si deduce dalla scritta alla base: “Fui dell’antica Roma un cittadino, ora Abate Luigi ognun mi chiama. Conquistai con Marforio e con Pasquino nelle satire urbane eterna fama, ebbi offese, disgrazie e sepoltura, ma qui vita novella e alfin sicura”.

A queste quattro statue parlanti, nel tempo, ne sono state accorpate altre due, facenti parte delle decorazioni delle fontane del Babuino e del Facchino.

La prima è collocata accanto alla Chiesa di Sant’Attanasio dei Greci, in via del Babuino. Si tratta di un anziano sileno disteso sul fianco di una fontana, che per la sua bruttezza venne soprannominato dal popolo romano Er Babuino. Nel 1877 la statua fu smontata e collocata nel cortile interno di palazzo Grandi, ma nel 1957 tornò nuovamente al suo posto per volere dei cittadini. Il Babuino arrivò a competere con il più famoso Pasquino, tanto che le sue invettive vennero chiamate anche “babuinate”.

A chiudere il Congresso degli Arguti, in via Lata, è la statua parlante più recente, quella del Facchino, una piccola fontanella con una figura maschile ritratta mentre versa l’acqua da una botte. L’abito indossato è il costume tipico della Corporazione dei facchini, da cui deriva il nome del personaggio. La scultura risale alla seconda metà del XVI secolo ed è opera di Jacopo Del Conte che la realizzò su incarico della Corporazione degli Acquaroli, coloro che raccoglievano l’acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta. Il Facchino subì più volte la deturpazione del viso poiché il popolo lo riteneva rassomigliante a Martin Lutero, per via del berretto e dell’abbigliamento, e lo colpiva a sassate.